Psicologa Clinica e dello Sviluppo - Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale

Mese: Ottobre 2015

L’obesità restringe il cervello

“Mens sana in corpore sano” dicevano i latini. Una nuova conferma all’antico proverbio arriva dagli Stati Uniti. Una ricerca pubblicata su Brain Research rileva che i chili di troppo incidono negativamente sulle dimensioni del cervello, alterando il funzionamento di quelle zone che “governano” il comportamento alimentare. Secondo gli studiosi della New York University School of Medicine (Usa), l’obesità oltre ad essere legata a un aumento del rischio di diabete di tipo 2, una malattia che già di per sé compromette le funzioni cognitive, determina anche un “malfunzionamento” che potrebbe portare le persone a mangiare sempre di più nel tempo.

Per verificare l’impatto dei chili di troppo sulla struttura cerebrale, il team di Antony Convit ha esaminato 63 persone. In particolare, gli studiosi hanno scansionato il cervello di 44 pazienti obesi grazie a una risonanza magnetica funzionale, e poi hanno confrontato i risultati ottenuti con quelli di 19 ‘magri’ della stessa età e livello di istruzione.

Ne è emerso che gli individui obesi hanno più acqua nell’amigdala e la corteccia orbito-frontale più piccola, e che i neuroni di queste aree o sono di meno o, comunque, risultano “come rattrappiti”. In pratica i chili di troppo influenzano negativamente l’attività e le dimensioni di quelle parti del cervello, amigdala e corteccia orbito-frontale appunto, che controllano il comportamento alimentare. Ciò significa, dice Convit, che queste alterazioni della struttura cerebrale (conseguenza dell’infiammazione provocata nell’organismo dall’obesità) possono determinare sia una minore funzionalità cognitiva ma, soprattutto, possono causare disturbi alimentari.

“Questo è il primo studio – dice Convit – che dimostra che l’infiammazione legata all’adiposità riduce l’integrità di alcune delle strutture cerebrali coinvolte nei meccanismi di sazietà e di ricompensa. Dalla nostra sperimentazione emerge quindi che i chili di troppo innescano cambiamenti neurali che aumentano il rischio di mangiare sempre di più in futuro”.

In un certo senso, commenta il ricercatore, lo studio avvalora la “teoria dell’obesità”, secondo cui i percorsi di ricompensa nel cervello delle persone in sovrappeso diventano meno sensibili quando aumentano i chili di troppo. Pubblicata nell’ottobre del 2010 su The Journal of Neuroscience, questa ricerca ha scoperto che il comportamento delle persone obese è simile a quello dei tossicodipendenti: per trarre piacere dall’assunzione della sostanza hanno bisogno di dosi sempre maggiori. Secondo lo studio, tutto dipende dai recettori del piacere che sono più deboli nelle persone oversize. Ciò innesca un vero e proprio circolo vizioso: tanto più aumenta la quantità di cibo ingerito tanto più si indebolisce la risposta dei ricettori del piacere e cresce la voglia di mangiare.

“Bisogna sapere – dice il coordinatore della ricerca, Eric Stice – che il cibo rilascia dopamine, gli ormoni del piacere. Ma dal nostro studio emerge che i soggetti obesi hanno, rispetto ai magri, un minor numero di ricettori D2, quelli della dopamine. Per cui gli obesi per compensare tale carenza, tendono a esagerare a tavola”. Insomma è come se si spostasse sempre più in là la soglia della fame, ciò spiegherebbe perché l’obesità è un disagio cronico.

Fonte:

www.repubblica.it

La dipendenza da videogiochi può causare depressione e ansia

Per i giovanissimi sempre più videogame-dipendenti il rischio è di soffrire di depressione, ansia e fobia sociale, oltre che di andare male a scuola. Lo dice Douglas Gentile della Iowa State University, dopo aver monitorato per due anni, insieme a cinque ricercatori di Singapore e Hong Kong, lo stato di salute di 3mila ragazzini: per l’8-10% sono risultati giocatori patologici. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Pediatrics, il giornale della American Academy of Pediatrics.

Gli esperti hanno usato la “Bibbia degli psichiatri”, ovvero il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’American Psychiatric Association, per stabilire quanti ragazzini nel campione avessero i connotati del giocatore patologico e monitorato il loro stato di salute psichica per due anni. È emerso che i ragazzini restano incollati ai videogiochi mediamente per 20 ore a settimana e che quelli dipendenti sono più inclini a sviluppare depressione, ansia e fobia sociale.

Secondo Gentile questi disturbi sono una diretta conseguenza della dipendenza da console e non una caratteristica insita nel giocatore. Depressione e ansia sarebbero dunque conseguenze della dipendenza e la loro gravità direttamente proporzionale al grado di “subordinazione”.

Fonte:

www.corriere.it

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