Psicologa Clinica e dello Sviluppo - Psicoterapeuta Sistemico-Relazionale

Mese: Settembre 2015

Sul disturbo borderline di personalità

La prima definizione del disturbo borderline di personalità (d’ora in poi BPD) come categoria psichiatrica, con una propria definizione e propri criteri diagnostici, compare nel DSM-III. La complessità delle numerose manifestazioni sintomatologiche rende particolarmente difficile una differenziazione sia da altre categorie diagnostiche, all’interno dello stesso Asse II, sia dalla depressione nevrotica e dalla psicosi (patologie diagnosticate nell’Asse I del DSM-IV).

Diversi sono i modelli teorici che hanno cercato di spiegare il nucleo eziopatogenetico del BPD. Tali teorie vanno dall’ambito psicoanalitico a quello cognitivo-comportamentale e cognitivo-evoluzionista. Kernberg ipotizza, alla base del BPD, un conflitto tra pulsioni libidiche e aggressive che, insorto in epoca pre-edipica, viene affrontato con il primitivo meccanismo di difesa della scissione. Il massiccio utilizzo della scissione, impedendo l’integrazione degli aspetti buoni e cattivi dell’oggetto, spiega, secondo Kernberg, molti dei sintomi BPD. Fonagy sottolinea il ruolo di fattore di rischio assunto dal deficit metacognitivo nell’eziopatogenesi del BPD. Tale deficit trae origine da una relazione infantile con una figura di attaccamento traumatizzante e dalla contemporanea mancanza della sicurezza e del conforto necessari per arginare gli effetti del trauma. Paris sostiene che sia fattori biologici (legati ad aspetti temperamentali), sia fattori psicologici (riconducibili a eventi traumatici o a esperienze di trascuratezza e stili abnormi di accudimento), sia fattori sociali (dovuti a una disgregazione dei valori tradizionali) intervengono, nelle loro varie combinazioni, nel determinare una vulnerabilità per lo sviluppo del BPD. Beck e collaboratori riconoscono alla base del BPD lo sviluppo di credenze disfunzionali su di sé e sul mondo, che generano un dilemma insolubile tra la convinzione di aver bisogno degli altri, in quanto si è deboli e incapaci di affrontare la realtà da soli, e l’impossibilità di poter fare affidamento su qualcuno in un mondo pericoloso e ostile. Linehan afferma che il nucleo del BPD risiede in un grave deficit del sistema di regolazione delle emozioni, che ha origine dalla combinazione di variabili legate al temperamento e variabili ambientali, legate all’apprendimento sociale del valore e del significato delle emozioni. Tale deficit spiega, secondo l’autrice, l’emotività instabile e intensa dei pazienti borderline. Liotti propone, invece, un’ipotesi integrativa che riesce a conciliare gli aspetti della scissione sottolineati da Kernberg – riconoscibili nelle rappresentazioni contraddittorie di sé e degli altri – con la difficoltà nella gestione e nell’espressione delle emozioni evidenziata dalla Linehan, attraverso il processo della disorganizzazione dell’attaccamento.

Attraverso la Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP), elaborata da Otto Kernberg, il terapeuta si pone l’obiettivo di aiutare il paziente, attraverso il riconoscimento e l’elaborazione di meccanismi di difesa primitivi, a trasformare le relazioni oggettuali parziali, a costruire difese più evolute, al fine di attivare un processo di integrazione di parti scisse del Sé e dell’oggetto, affinché possa strutturarsi una percezione più realistica degli oggetti totali (integrazione di oggetto buono e oggetto cattivo). La TFP, basandosi sull’interpretazione precoce delle difese, rafforza l’Io, facilitando anche l’interpretazione del transfert che, in questo tipo di intervento, viene utilizzato quando si riesce a stabilire un buon rapporto paziente-terapeuta. Nell’approccio proposto da Fonagy, in cui si ipotizza che la rabbia e gli impulsi negativi e aggressivi espressi dal paziente siano riconducibili a frustrazioni vissute realmente nei primi rapporti, attraverso una ricostruzione coerente di esperienze interpersonali, il paziente modifica i modelli operativi interni, attivando dei processi esperenziali correttivi delle esperienze traumatiche vissute nell’infanzia.

La Terapia Dialettico-Comportamentale, sviluppata da Marsha Linehan attraverso l’esperienza clinica con pazienti borderline caratterizzati da gesti suicidari nella loro storia, trae i suoi principi teorici nel modello biosociale della personalità, la cui premessa fondamentale è che la principale alterazione, nel BPD, sia una disfunzione nella regolazione delle emozioni, basata sia su una predisposizione biologica sia su esperienze di vita non favorevoli al riconoscimento e alla modulazione delle emozioni espresse. Tale grave deficit spiega sintomi quali: le rapide oscillazioni dell’umore, la rabbia immotivata e acuta, l’intensità caotica delle relazioni intime, l’incapacità di controllare gli impulsi autolesivi. Sulla base di tali premesse teoriche e in virtù della grande difficoltà nel gestire in terapia i pazienti borderline e dell’alto tasso di drop-out, la Linehan postula un piano di trattamento che si basa sulle seguenti considerazioni: creare un ambiente in grado di validare le emozioni del paziente, affinché egli impari a riconoscerne il significato e a gestirne l’espressione; insegnare al paziente strategie di problem-solving e abilità psicosociali che permettano di affrontare le situazioni di disagio in maniera più adattiva; trovare un equilibrio tra le strategie volte all’accettazione e quelle dirette al cambiamento; tenere ben presente la gerarchia di obiettivi terapeutici da rispettare, prima tra tutti quelli che minacciano la vita del paziente; far assumere a quest’ultimo un ruolo da protagonista, all’interno del proprio percorso di cambiamento, che gli restituisca un senso di autoefficacia e di valore personale; prevedere un setting di gruppo, accanto alla psicoterapia individuale, di tipo psicoeducativo, in modo da tutelare la relazione terapeutica che, in genere, ha come principale rischio l’interruzione della terapia stessa (drop-out). 

Per Approfondimenti:

Caviglia, G., Iuliano, C., Perrella, R. (2006). Il disturbo borderline di personalità. Roma: Carocci

Sulla depressione

Vari sono i modelli che forniscono una spiegazione del disturbo depressivo; essi si basano su diverse teorie di riferimento. Nell’ambito dei modelli di matrice psicodinamica è utile ricordare: Sigmund Freud, il quale postula l’esistenza di meccanismi psicologici nella cui funzione patogena è implicata la perdita di un oggetto; Karl Abraham, che ha dato avvio allo studio psicoanalitico della depressione. L’interesse di Melanie Klein è, invece, rivolto agli stadi più precoci della vita psichica e alla funzione prevalente dell’ambivalenza nella psicopatologia. La depressione è, per l’autrice, una situazione che implica la mancanza nel soggetto della possibilità di rifarsi a qualcosa a cui appoggiarsi per ricostruire il proprio mondo interno. Per Silvano Arieti sono le circostanze della vita, così come gli schemi psicologici strutturati del paziente, a determinare la depressione che, nelle sue forme lievi, è oggetto di studio da parte di Jules Bemporad. John Bowlby ipotizza che alla base della patologia depressiva vi sia un modello di attaccamento insicuro. Le teorie cognitive, attraverso il contributo di Beck, forniscono un modello interpretativo della depressione secondo il quale le varie forme di psicopatologia manifestano dei disturbi del pensiero caratterizzati da distorsioni cognitive. Per l’autore un ruolo decisivo, nell’insorgenza della depressione, è giocato dalle autocritiche, dalle esagerazioni per le difficoltà esterne e dalla mancanza di fiducia in se stessi. Il modello biologico, complementare al modello psicodinamico, evidenzia l’esistenza di fenomeni neurofisiologici che accompagnano l’esperienza soggettiva della depressione.

Un valido trattamento per la cura della patologia depressiva è la psicoterapia, il cui scopo principale è quello di rendere la persona più consapevole del proprio problema e, al tempo stesso, più capace di farvi fronte. Il trattamento farmacologico della depressione prevede l’utilizzo degli antidepressivi, una particolare classe di psicofarmaci. Il trattamento psicoterapeutico e quello farmacologico sortiscono migliori effetti se utilizzati in modo combinato. Esistono, inoltre, altre forme di trattamento, come l’elettroshock, che vengono utilizzate quando le altre tipologie di cura non si sono rivelate efficaci.

La depressione post partum è una manifestazione depressiva caratterizzata da una sintomatologia che deve avere uno sviluppo temporale di almeno una settimana, e deve provocare un’effettiva mancanza di funzionalità nella donna. Alcuni studi italiani confermano il ruolo delle stagioni nella patologia depressiva e analizzano l’influenza della latitudine e di fattori socio-culturali sull’andamento dell’umore. I disturbi dell’umore, ed essenzialmente quelli di grave ordine depressivo, si riscontrano frequentemente anche nella popolazione anziana.

La depressione nell’infanzia è un disturbo che si presenta con caratteristiche fenomenologiche tali che rendono difficile diagnosticarla correttamente e stabilire se i sintomi riscontrati sono manifestazioni di disarmonia o di crisi evolutive transitorie. Sebbene gli eventi traumatici della vita possano influenzare l’insorgenza di una patologia depressiva nell’infanzia, la sintomatologia si sviluppa in virtù della modalità con cui il soggetto interpreta tali eventi e del significato che attribuisce alle situazioni negative. L’adolescenza, caratterizzata da una serie di trasformazioni fisiologiche, psicologiche e di ruolo sociale, rappresenta una fase di passaggio durante la quale è possibile ammalarsi di depressione, passando da uno stato di fisiologica depressione a uno di tipo patologico. La qualità della relazione familiare gioca un ruolo chiave nell’esordio, in adolescenza, di disturbi depressivi.

Per Approfondimenti:

Perrella, R. (2006). La depressione: storia, teoria, clinica. Roma: Carocci

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